La didattica ludica alla primaria di Antonio di Pietro
A qualche anno di distanza dal primo testo di didattica all’aperto per la primaria, e non solo, dal titolo “Sporchiamoci le mani” di Juliet Robertson, esce a novembre 2022 sempre per Edizioni Ericson il libro “Facciamo scuola all’aperto” di Antonio di Pietro, un formatore ed amico che collabora da sempre con la rete delle scuole all’aperto.
Non potevamo che scriverne qui, e con lui.
Antonio, hai pubblicato un libro importante, che accresce le risorse didattiche per insegnanti all’aperto. Che taglio ritroviamo nel volume?
E’ un manuale, nella collana “Materiali Didattica” edizioni Erickson, scritto ispirandosi alle metodologie dell’educazione e della didattica attiva, con introduzione di Michela Schenetti (Università di Bologna). E’ un testo di taglio fondamentalmente pratico.
Che percorso vedi da Juliet Roberston al tuo lavoro di oggi?
C’è una continuità e un’affinità con il libro “Sporchiamoci le mani” di Juliet Robertson. Inoltre,“Facciamo scuola all’aperto” ha come punto di riferimento il volume “Didattica all’aperto. Metodologie e percorsi per insegnanti della scuola primaria”, curato dalla professoressa Schenetti referente scientifica della “Rete nazionale delle scuole pubbliche che praticano l’educazione all’aperto”.
Cosa scopre l’insegnante che legge “facciamo scuola all’aperto”?
“Facciamo scuola all’aperto” ha dieci capitoli dove si riportano pratiche che attraversano le diverse discipline dalla classe prima alla quinta. Tra l’altro, essendoci giochi ed esperienze ludiche significa che gran parte di queste possono essere rivissute in diversi momenti dell’anno e degli anni. L’organizzazione di ogni capitolo è articolata con una pagina all’inizio ed una alla fine con spunti
di riflessione, poi fra queste ci sono cinque proposte con una serie di rilanci da sviluppare in diversi modi.Non le ho mai contate, ma il gruppo di lavoro della redazione Erickson mi ha detto che in tutto il libro ci sono più di cento idee da mettere in pratica. Ma il punto non è il numero, bensì il voler condividere “pratiche che generano pratiche”. Mentre scrivevo mi sono sentito accanto all’insegnante e in cammino con i bambini, raccontando ciò che potrebbe accadere ripensando alle esperienze vissute a scuola.
Sembrano idee semplici, alla portata di tutti i docenti. E’ proprio cosi?
E’ un libro “semplice” nel senso che per realizzare le proposte servono pochissimi materiali,economici e di facile reperibilità. Le esperienze che si riportano si possono svolgere in un “semplice”giardino di una scuola e nel territorio immediatamente circostante. Una particolare attenzione è dedicata al contatto con la natura, senza escludere gli ambienti urbanizzati. La “semplicità” si può ritrovare anche nel fatto che le proposte sono riportate suggerendo possibili approcci per la conduzione di una classe all’aperto ed essenziali indicazioni per sostenere esperienze da adattare alle situazioni.
Come si fa didattica con le nuvole, Antonio?
Ho deciso di dedicare un capitolo alle nuvole perché le possono avere tutti. Richiedono un’attesa,un alzare lo sguardo al cielo, un dialogare con l’im-prevedibile. Il pretesto è quello di creare una stazione meteo fai da te con materiali di recupero, l’invito è quello di agire con un approccio scientifico a partire dalle domande dei bambini. La narrazione di queste esperienze, così come avviene in tutto il libro, è di carattere “interdisciplinare”, infatti nel capitolo intitolato “Con la testa fra le nuvole” si possono incrociare suggerimenti per itinerari che riguardano l’espressione corporea, l’educazione civica, la lingua, la matematica…
Se consideriamo centrale la dimensione esperienziale, ecco che un giardino di una scuola, unapiazza nei paraggi, il cielo, rappresentano una fonte di spunti che inevitabilmente sono interdisciplinari.
Le tue “cartoline sonore” danno voce alla tua particolare attenzione ed originalità per la dimensione sonora dei contesti all’aperto
In effetti, in questo libro, la dimensione sonora s’incontra anche quando meno te lo aspetti. Sono particolarmente sensibile al tema, forse perché sono un “musicante” (attualmente suono percussioni in una compagnia di danze popolari). Di certo, penso all’importanza di vivere in una scuola dove si respira il bello, si tocca la cura dei particolari, si considerano gli ambienti anche dal punto di vista – anzi d’orecchio – sonoro. La dimensione sonora è un invito a tenere sempre presente che i bambini hanno bisogno di concretezza nel costruire competenze. Andare incontro a questo modo di apprendere può anche tradursinel portare l’attenzione sulle sonorità dei diversi ambienti esterni e, perché no, creando “cartoline sonore”.
Che risposta suscita nelle insegnanti il tuo libro?
Chi ha letto “Facciamo scuola all’aperto” mi ha detto di aver apprezzato la fattibilità delle proposte e l’importanza di sostenere lo stare bene a scuola facendo leva sulla ludicità dei bambini e, ancor di più, degli insegnanti.Molte pratiche riportate in questo libro le ho condivise con le insegnanti incontrate all’interno delle formazioni che ho svolto con la “Rete nazionale delle scuole pubbliche che praticano l’educazione all’aperto”. Mentre scrivevo ho pensato alle loro domande, alla loro motivazione, al loro atteggiamento di ri-cerca, alla loro soddisfazione nel fare scuola (anche) all’aperto.
Come si colloca infine rispetto al tuo percorso e alla tua riflessione pedagogica?
Ho pensato a quando i miei insegnanti ci portavano fuori al di là della ricreazione. Anche aiprofessori delle “medie” e a come quelle uscite al fiume mi hanno appassionato al mondo dei coleotteri.Non solo, con emozione ho pensato a insegnanti e professori che ci facevano ridere. E poi c’è stata una curiosa coincidenza: proprio nel periodo in cui andava in stampa questo libro, stavo svolgendo un corso di “Didattica ludica all’aperto” per insegnanti e professori delle scuole che ho frequentato come alunno! Sono cresciuto nei Cemea, un movimento internazionale che ho iniziato a conoscere grazie a Gianfranco Staccioli ai tempi in cui ero un suo studente universitario. Una delle idee fondanti dei “Centri d’Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva” è che “l’educazione è in ogni momento” (affermazione di Gisèle de Failly). E questi “momenti” si possono vivere con la medesima dignità pedagogica in spazi interni ed esterni. In termini pedagogici si tratta di valutare di situazione in situazione quale possa essere l’ambiente più adatto per garantire la qualità della vita di gruppo, per affrontare una tematica, per ricercare idee. In un certo senso, se facciamo una scuola attiva, tendenzialmente, andar fuori vien da sé.
Antonio Di Pietro, pedagogista ludico. Docente della Specializzazione per le attività di sostegno presso l’Università di Firenze. Membro del Centro di Ricerche sulle Didattiche Attive (Università di Bologna). Presidente del Cemea Toscana, collabora con la Rete delle scuole pubbliche che praticano l’educazione all’aperto e con LUnGi – Libera Università del gioco.Svolge formazione esperienziale, affiancamenti a progetti educativi e didattici, incontri con genitori.Autore di diverse pubblicazioni sul gioco, il giocare e la didattica ludica.
A cura di Corrado Bosello